Si chiude il primo grado del processo Enel in cui si è dimostrato che
le polveri che hanno “sporcato” i terreni e le coltivazioni adiacenti al
carbonile e al nastro trasportatore erano effettivamente polveri di
carbone. Non era facile dimostrarlo, ed Enel, in questi quattro anni di
dibattimenti, ha sempre sostenuto la tesi che la polvere nera ritrovata
sulle colture di Cerano non fosse carbone ma altro.
Getto
pericoloso di cose e danneggiamento aggravato. Condannati due dirigenti
Enel, Calogero Sanfilippo, responsabile della produzione e Antonino
Ascione, responsabile dell’unità di business, entrambi coscienti delle
dispersioni del carbone avvenute sia dal carbonile della grandezza di 125mila metri quadri, sia
dai 12 chilometri di nastro trasportatore.
Questo un po’ il mood
di ciò che i due manager si scrivevano tramite mail e venuto a galla grazie all'inchiesta della Digos:
“Io lo manderei a fare in culo dal nostro avvocato”
“Lo abbiamo risarcito altre due volte ma adesso lo manderei a fare in culo…”
“La famiglia Cosenti è stata risarcita nel 2000 e nel 2005. In altre
tre occasioni ha presentato richiesta senza essere risarcito… Condivido
di mandarlo a fare in culo, anche se alla fine occorre risolvere il
problema”
“Una soluzione potrebbe essere quella di acquistare o di iniziare a mostrare interessamento all’acquisto del terreno”
“Sono d’accordo nel sentirlo ma, essendo un rompicoglioni tipo
Spedicato (un altro agricoltore, nda), bisogna evitare che diventi una
piattola. Ciao”.
Nel frattempo i due dirigenti sono stati al loro
posto, nei loro uffici, sulle loro poltrone fino al giorno della
sentenza che li ha condannati a 9 mesi di reclusione. Assolti gli altri
11 imputati ma condannata Enel Produzione che insieme ai due dirigenti
dovrà risarcire 58 contadini.
Una piccola vittoria ma un grosso
passo in avanti. Un primo passo verso il riscatto del nostro territorio
dopo anni di denunce. La conferma in primo grado dell’inquinamento dei
campi, che oltre ad essere dei terreni privati sono anche un bene della
comunità inteso come possibilità di lavoro e ricchezza di biodiversità
del territorio. Un danno ai terreni privati ma anche un danno ad un
ecosistema di cui la comunità e le associazioni ne sono custodi benché
il Tribunale abbia deciso di escluderle dal risarcimento.
Un primo
passo che è un bicchiere mezzo pieno perché l’impatto di Enel su questo
territorio non può chiudersi con una condanna per imbrattamento. Il
nostro territorio è vittima di un danno ambientale di proporzioni enormi
e non solo alla luce dei gravissimi dati sanitari che abbiamo a
disposizione.
Per questo la nostra battaglia non si ferma qui ma
continua perché quell’impianto deve essere chiuso definitivamente e
quell’area bonificata e riconsegnata alla collettività. L’era dei
combustibili fossili è terminata, il vecchio modello industriale che
abbiamo dovuto subire ha fallito, il teorema per cui la tutela del
lavoro passa necessariamente dalla tutela della produzione industriale
non è stato mai dimostrato anzi, è avvenuto proprio il contrario. A
Brindisi si tutelano i colossi dell'energia e della chimica, si tutela
la rete affaristica tra malapolitica e interessi finanziari delle grandi
multinazionali, si tutelano i grandi capitali di Enel mentre la
disoccupazione cresce a dismisura come cresce il fenomeno
dell’emigrazione in cerca di lavoro, la corruzione e l’inaridimento
fisico e culturale del territorio.