Dopo il nubifragio del 15 gennaio, la centrale
termoelettrica potrebbe bloccarsi perché il nastro che trasporta il
combustibile fossile è allagato. La procura ferma le operazioni di
drenaggio, perché senza autorizzazioni. E l’Arpa Puglia attacca: "Il
comportamento dell'azienda è inaudito"
Fra dieci giorni, migliaia di pugliesi rischiano di rimane al buio. Ed Enel, da parte sua, a Brindisi,
corre il pericolo di impantanarsi, perdendo la certificazione di
qualità ambientale di cui si fregia. Non solo. Un altro capitolo è
pronto ad arricchire, a sorpresa, la saga giudiziaria sull’inquinamento derivante dalla centrale a carbone di Cerano, tra le più grandi d’Europa. Sono queste le conseguenze più immediate che potrebbe avere l’allagamento del nastro trasportatore,
dopo il nubifragio del 15 gennaio scorso. L’impianto termoelettrico,
infatti, ha un’autonomia che non supera le due settimane. E il blocco
dell’alimentazione potrebbe avere risvolti inediti. E’ lungo quei
tredici km, che si snodano tra zona industriale e distese di carciofi,
che viene convogliato il combustibile scaricato dalle navi che
attraccano a Costa Morena. Duemila tonnellate all’ora,
che si trasformano in 2.640Mw, potenza in grado di coprire il 5%
dell’elettricità di tutta Italia, il 60% di tutta la Puglia.
Enel ci stava provando a rimediare in tutta fretta alla piena, che ha paralizzato quello che è l’esofago della centrale Federico II.
Lo stava facendo senza dire niente a nessuno. Senza chiedere
autorizzazioni. Senza preoccuparsi di non far arrivare in porto acque
ormai, presumibilmente, contaminate dalle polveri di carbone. “Un
comportamento inspiegabile, singolare, da piccola azienda a
conduzione familiare”, chiosa il direttore di Arpa Puglia, Giorgio Assennato.
Dall’Agenzia regionale per l’Ambiente sono già pronti a partire, alla
volta di autorità e magistratura, i due verbali redatti dopo i
sopralluoghi effettuati nella notte di venerdì e durante la mattinata di
sabato. Una sorta di blitz, il primo, per cogliere sul fatto i presunti
responsabili di un possibile reato di inquinamento ambientale. Al secondo, invece, hanno partecipato anche i carabinieri del Nucleo operativo ecologico, coordinati dal maggiore Nicola Candido,
e il pm Iolanda Daniela Chimienti. E’ lei ad aver già disposto lo stop
delle operazioni di drenaggio, perché prive dei relativi permessi. Ed è
nelle sue mani, ora, la decisione di un eventuale sequestro del nastro
trasportatore. Un’ipotesi che fa tremare le vene e i polsi al colosso
energetico. Anche, e non solo, per i risvolti penali all’orizzonte. A
dare fuoco alle polveri, infatti, è stato un esposto in Procura. In
calce, la firma di un agricoltore, proprietario di uno dei terreni
confinanti con le trincee Enel e parte civile nel processo, inaugurato il 12 dicembre scorso, a carico di quindici dirigenti, accusati di getto pericoloso di cose e danneggiamento aggravato.
“Al
pubblico ministero abbiamo dato disponibilità per l’analisi di campioni
delle acque, laddove necessari. E mi esprimo così perché non è detto
che servano. L’evidenza dei fatti è nelle cose”, spiega Assennato. A
tracimare è stato il canale accanto, il Fiume Grande,
gestito da un consorzio privato. Esondando, ha sommerso anche la trincea
lungo la quale viene convogliato il carbone. Enel ne avrebbe, a questo
punto, disposto lo svuotamento attraverso l’impiego di idrovore. “Le
acque, tuttavia, sono necessariamente entrate in contatto con le polveri
nere, rimanendone contaminate. Ciononostante – continua il direttore
Arpa – sono state riversate tal quali nel Fiume Reale. Al canale, dunque, sono state restituite con caratteristiche ben diverse da quelle iniziali”.
Dunque, si corre ai ripari. “A seguito dell’intervento degli organi di controllo – si legge in una nota aziendale
– sono stati forniti tutti gli elementi richiesti riguardo alla
problematica. Si confida in una rapida risoluzione del problema”. E’
attesa per le prossime ore la presentazione del programma industriale
che servirà a pianificare il corretto smaltimento delle acque. Si cerca
di fare presto. E’ ovvio. Ma il ripristino della trincea non è certo che
coinciderà con il ritorno alla normalità. Giorgio Assennato non vuole
avere peli sulla lingua. “Sto segnalando quanto accaduto all’Ispra, l’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale. E’ l’autorità che ad Enel ha già rilasciato l’Autorizzazione integrata ambientale.
Bisogna capire come la mettiamo, adesso. Ad esempio, mi chiedo come si
concilia il comportamento dell’azienda con la registrazione Emas,
di cui si fregia. E’ il riconoscimento pubblico che ne conferma la
qualità ambientale e che garantisce l’attendibilità delle informazioni
relative alle sue prestazioni. Un marchio che potrebbe anche perdere.
Quello che ha fatto è inaudito”.
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